Riflessione sulle differenze tra canadese e kayak

Sulle differenze tra la canoa canadese ed il kayak a scopo turistico e ricreativo è stato scritto molto, moltissimo. Il web è pieno di pagine e pagine piene tutte delle stesse ovvietà riguardo le diverse capacità di carico e velocità di crociera, la simmetria o asimmetria della propulsione, la possibilità o meno di ospitare “passeggeri”, la maggior difficoltà di condurre una canadese in giornate ventose e gli ambienti più o meno adatti all’uno o all’altro natante…
Tutte cose scontate, sicuramente ben chiare a chi ha anche solo una vaga confidenza con gli sport di pagaia ed – in alcuni casi – concetti che non sorprenderebbero nemmeno coloro i quali una canoa od un kayak li hanno visti solo in fotografia (ma davvero in un kayak singolo non ci possiamo salire in 3?).

Alcuni argomenti però non vengono praticamente mai toccati. Differenze a mio avviso importanti e meritevoli di essere esplorate da tutti i pagaiatori.

le differenze sono parecchie, anche nelle prestazioni e nella risposta agli elementi esterni,
ecco perchè è raro vedere in acqua un gruppo misto di canadesi e kayak (Lago di Pusiano)

LA POSIZIONE, NON E’ ASSOLUTAMENTE QUESTIONE DI COMODITÀ

Come primo punto partiamo da un’ovvietà: la posizione del canoista.
Parliamo ovviamente di prodotti di buon livello, per un pagaiatore già mediamente evoluto che esige determinate performance. Per cui escludiamo quei cosi – tipicamente da noleggio – che del kayak o della canoa hanno solo le sembianze ma in realtà sono poco più di gusci galleggianti pensati per chi non ha grosse pretese e cerca un poco impegnativo diversivo da spiaggia; natanti del tutto inadatti alla gestione dell’assetto e delle manovre con il bacino e con le gambe che in America vengono chiamati “recreational kayak”.

In un kayak turistico fatto come si deve, della categoria “sea kayak – SK” o “Touring Kayak – TK”, la posizione è comunque obbligata. Il seggiolino è tutt’uno con la struttura del pozzetto, la zona pelvica del canoista fa quindi presa ai lati dello scafo senza che il bacino possa “ballarci dentro” più di quel tanto; premicosce sufficientemente avvolgenti e puntapiedi correttamente settato sono necessari per trasmettere il movimento degli arti allo scafo e viceversa. Questa avvolgenza è necessaria per poter gestire l’inclinazione dello scafo in ogni condizione con la massima disinvoltura, per effettuare manovre laterali e rendere efficaci gli appoggi sia bassi che alti e – naturalmente- per spingere in avanti la canoa con i piedi durante la fase propulsiva. Ampie zone del corpo del canoista stanno quindi a contatto con il kayak a livello dei glutei, dei lati del bacino, della zona lombare, delle ginocchia / interno coscia e dei piedi. Ne consegue che – a bordo – di libertà di movimento ne abbiamo davvero molto poca. Si dice che il kayak è come un vestito per cui, avendo cura di sceglierne uno di dimensioni adatto alla propria corporatura (non a caso i costruttori seri per ogni scafo spesso offrono più varianti di “taglia”) e con tutte le regolazioni effettuate ad hoc, poi più che un abito diventa un vero e proprio prolungamento del corpo.
Chi come me è viziato ed ha preferenze nei kayak a volume generoso potrà – per brevi periodi – allungare le gambe oltre il puntapiedi, ovviamente una alla volta. Ma è un lusso che ci si può concedere solo nelle pause senza sbarco ed al massimo in crociera ad un ritmo rilassato se le acque sono calme.

In canadese la libertà di movimento è ovviamente maggiore. Si può decidere di alternare tratti in cui si pagaia seduti ad altri in ginocchio. Da seduti sulla panca ci si può spostare per alternare il lato di pagaiata e decidere se tenere le gambe all’indietro sotto la seduta, distese in avanti o incrociate. Anche nella pagaiata in ginocchio quando si cambia lato ci si può spostare fisicamente – pur di pochi centimetri- per sbandare la canoa sul lato opposto.
Addirittura è possibile alzarsi in piedi per vedere più lontano un passaggio o condurre la canoa con la pertica.

In entrambi i casi, con il kayak prima e con la canadese più recentemente, ho riscontrato notevoli difficoltà posturali nelle prime uscite con conseguenti dolorini ed intorpidimenti. Con il progredire dell’esercizio e, soprattutto, con il migliorare della tecnica di pagaiata questi disturbi tendono a sparire. In kayak un corretto uso delle gambe e del bacino durante la pagaiata e per la gestione dell’assetto sono fondamentali per mantenere attiva la metà inferiore del corpo ed evitare formicolii. E’ sempre utile ricordare che – al contrario di quanto un neofita possa immaginare- la parte inferiore del corpo partecipa attivamente alla catena cinematica necessaria alla conduzione e gestione del kayak e della canoa. Con una tecnica di pagaiata sufficientemente corretta le lunghe permanenze a bordo di kayak dal volume adeguato non creano problemi anche se, appunto, da quella posizione non ci si svincola. Gli inconvenienti però si ripropongono ogni qualvolta ci si costringa a lunghe permanenze in kayak dal volume molto risicato (tipica la sensazione che si ha in un greenland molto tirato o in un K1 salom), specie se non siamo più dei ragazzini ed abbiamo perso di elasticità. In questi casi è bene programmare le uscite con frequenti sbarchi; ma del resto sono kayak in cui raramente si fanno lunghe escursioni.
Ugualmente in canadese con il tempo e l’esperienza ci si abitua alla postura tipica ma è davvero un piacere poter cambiare posizione o sgranchisri le gambe ogni qual volta se ne abbia voglia.

Le operazioni di sbarco ed imbarco sono un’altra conseguenza della diversa posizione. Nel kayak ci si deve infilare in uno spazio angusto regolato su misura e ne consegue che è infinitamente più facile salire e scendere dalla panca di una canoa aperta.
I kayak più recenti tendono a viziarci un pochettino: i moderni pozzetti tipo “key hole” facilitano di molto le operazioni di ingresso ed uscita pur mantenendo lo stesso livello di contatto con il corpo di kayak dalla mastra più piccola… ma in canadese è quasi come sedersi su una panchina al parco.

NELL’ACQUA E SULL’ACQUA

Il secondo argomento è di carattere percettivo e riguarda ciò che più mi ha impressionato la prima volta che sono salito su una canadese dopo 6 anni di kayak da mare; parliamo di sensazioni. Un aspetto quasi filosofico.
Se in kayak ci si sente IN acqua, con la canadese ci si sente SULL’acqua.

non sorprende che un rovescio in inverno possa suscitare emozioni positive

Sembra una banalità ma la differenza è davvero molta.
Il kayak è davvero una seconda pelle, quando galleggia nel suo elemento diventa tutt’uno con il pagaiatore. Si sta semiseduti con le chiappe che sono a livello dell’acqua – se non sotto. Si è molto bassi, visivamente la prospettiva è unica. Bastano piccole onde perché i frangenti arrivino alla pancia e gli schizzi sulla faccia. Quando si manovra stretto con grande inclinazione il fianco arriva a toccare l’acqua e mezzo bacino ed una gamba ne sono sotto il livello.
Si instaura un rapporto intimo e viscerale con l’elemento che è davvero unico, sensazioni indescrivibili amplificate in condizioni particolari come nelle navigazioni notturne con un po’ di onda o sotto la pioggia battente (come si dice: acqua sotto ed acqua sopra!).
E’ forse per questo motivo che moltissimi kayaker hanno un chiodo fisso: il roll, e con la scusa di esercitarlo lo si pratica in continuazione ed in maniera a volte quasi compulsiva.
Il roll per alcuni può diventare addirittura un gesto rituale svolto per onorare la magnificenza di un posto, per godere dell’acqua particolarmente limpida o celebrare e festeggiare una ricorrenza.
Letteralmente con il kayak e tutto il corpo ci si rotola dentro all’acqua. Che magnifica sensazione!

In canadese l’impressione che si ha è più simile a quella di una barchetta.
Beninteso, non voglio sminuire con questo le bellezze della canoa canadese, anzi, sotto alcuni aspetti trovo che abbia un fascino maggiore rispetto al kayak. L’eleganza dello stile di pagaiata in “solo” in una canoa turistica è davvero unica ed il gioco in corrente tra i piloni di un ponte (restando in un comodo e sicuro I° – II° grado ed evitando imprese estreme) è di gran lunga più dinamico e divertente su una canadese in tandem che su un kayak da touring; però non si ha quel legame stretto e ravvicinato con l’acqua che si riesce a raggiungere solo in kayak.
Come mi disse un grande maestro in kayak ci si sente come un gabbiano che se ne sta appollaiato tra i flutti ed oscilla tranquillo ad ogni onda. Con quale altro natante si può dire altrettanto?

L’IO ED IL NOI

Altro aspetto filosofico e più sottile; il kayak è a mio avviso per sua natura un qualcosa di strettamente individuale. Certo, esistono i doppi, non ne ho molta esperienza ma per quanto ho potuto provare il kayak doppio mi ha mostrato solo lati negativi: da una parte toglie l’agilità ed i tecnicismi del singolo e dall’altra azzera gran parte delle sensazioni ed emozioni legate alla libertà di gestione del kayak singolo. Certamente il kayak doppio ha il pregio di divedere le forze ma, per il resto, ci si sente limitati sotto ogni punto di vista. Tornando all’idea del kayak come un vestito, una seconda pelle acquatica, in un doppio è facile sentirsi come da bambini a fare in coppia la corsa coi sacchi.

Il kayak turistico è a mio avviso da considerarsi quindi una questione assolutamente individuale. Nelle uscite di gruppo a pagaiare si è magari in tanti ma alla fine nel tuo kayak sei sempre solo e devi gestire autonomamente la direzione, la propulsione, l’inclinazione, l’equilibrio, compensare lo scarroccio causato da vento e correnti. Gli altri faranno certamente altrettanto, ma ognuno è nella sua barca. (*)

La canoa canadese in solo è sicuramente l’ambito in cui esprime il massimo del suo fascino e da questo punto di vista offre al pagaiatore sensazioni paragonabili kayak singolo; ma nel tandem la storia cambia e diventa tutt’altro.

Perché se è vero che la canoa canadese ed il kayak sono due mondi distinti è altrettanto vero che anche la canadese in solo è ben diversa dal tandem.
Insomma… davanti ad una rapida o a meteo sfavorevole in K1 come in C1 sono comunque “io” a dover affrontare le varie difficoltà anche ad un raduno circondato da molti compagni di avventura nelle medesime condizioni; ma se in acqua c’è una sola canoa ed è un C2 di fronte alle stesse difficoltà siamo “noi” ad affrontarle. E questa non è una differenza da poco.
Differenza che salta all’occhio anche e soprattutto guardando chi per la prima volta si avvicina alla pagaia: La prima esperienza in kayak porta sempre con se un po’ di apprensione anche se si è in un placido laghetto con il meteo ideale ed accompagnati da un bravo istruttore; una prima esperienza in canadese mette meno a disagio il neofita qualora in canoa al seggiolino poppiero vi sia un esperto.

La canadese in tandem non è come la voga od il dragon boat (ma anche il k2) in cui praticamente tutto l’equipaggio fa la stessa cosa: in canadese i due canoisti hanno compiti diversi e spesso per fare una manovra compiono azioni differenti ma sincronizzate; ciò rende più difficile lavorare in maniera coordinata.
Tutti e due devono avere la stessa idea non solo sul cosa far fare alla canoa ma anche sul come farlo. Andare in canadese tandem significa comunicare rapidamente ed efficacemente (non solo verbalmente), si impara a conoscere presto i limiti tecnici e di forza dell’altro, a correggersi a vicenda. Si sviluppa rapidamente un certo affiatamento necessario per condurre efficacemente la canoa. La sensazione è netta; inizialmente ci si sente un po’ goffi se non si ha mai pagaiato assieme ma si impara presto a “leggere” dal comportamento e dai gesti del compagno le sue paure, le incertezze o la voglia di andare oltre e di osare…
Basta prendere un amico con cui da tempo si condividono escursioni in kayak e salire assieme su una canadese per renderci conto che noteremo delle sfumature a cui non avevamo mai fatto caso. Piccolissimi segni che in kayak, ognuno nel suo barchino, non si colgono ma in canadese vien subito all’occhio -ad esempio- quando il prodiere è incerto nell’aggancio mentre il timoniere spinge forte per attraversare la eddyline. E allora al volo ci si accorda, ci si compensa, si comunica.

la prima volta di mio figlio Matteo in canoa – 10 mesi di età
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Se il kayak è stato in grado di creare nella mia vita forti legami di amicizia immagino la potenza della canadese di fare gruppo condividendo la barca e le fatiche con altre persone con cui è giocoforza lavorare all’unisono.
Forse non è un caso che la canadese nella mia vita sia comparsa assieme all’arrivo del piccolo Matteo, spinto dalla ricerca di una canoa che esaltasse l’unione e l’affiatamento. Come forse per lo stesso motivo non è casuale vedere sulle pagine e cataloghi dei vari produttori allegre foto di famiglia in canadese.

Quale altro natante ha un equipaggio in cui ognuno ha compiti diversi ma tutti hanno la stessa importanza, lo stesso “grado”?
Anche un bambino troppo piccolo per pagaiare ha il suo compito importantissimo: sta imparando a stare assieme, letteralmente “sulla stessa barca”.

prime pagaiate per due bimbi di 6 anni


Persino tornando all’origine riappare questa differenza: il kayak delle popolazioni artiche è la “barca da uomo” in cui si cacciava; agli Inuit non mancavano però canoe aperte simili a quelle tribù che vivevano più a sud nei territori dell’odierno Canada e Stati Uniti: era l’umiak ovvero la “barca da donna” usata per gli spostamenti stagionali dell’intero nucleo familiare e dei loro pochi averi. Il kayak trasportava l’uomo che procacciava il cibo mentre nell’umiak la donna raggruppava l’intera famiglia.
Più iconiche delle umiak sono le canoe in corteccia dei pellerossa che potevano essere singole anche se più spesso erano decisamente capienti anche per gli standard odierni. I libri ci raccontano di scene di in cui a bordo di una canoa un indiano si occupa dell’arco e l’altro della pagaia oppure delle canoe da guerra e cerimoniali finemente addobbate con i simboli ed i colori della tribù adibite al trasporto di guerrieri dello stesso clan. Ecco che quindi già dalla sua millenaria origine quella che oggi chiamiamo canoa canadese era la barca dell’unione.

Concludendo posso dire che passando da una tipologia di canoa all’altra, tralasciando gli aspetti più ovvi e scontati, pur considerando che i principi di base della pagaiata sono gli stessi indipendentemente dall’essere in kayak con una pagaia a doppia pala o in canadese con la singola cambia davvero moltissimo. Ed entrambe le esperienze sono secondo me da approfondire un po’ indipendentemente dal fatto che poi uno decida di proseguire il proprio percorso sportivo e ricreativo solo con una tipologia.

(*) a distanza di mesi dalla stesura di questo articolo mi è capitato di leggere “In Kayak, la mia storia” di Francesco Salvato. Noto che lo stesso autorevole autore riporta le stesse osservazioni riguardo l’essere da soli in kayak anche in uscite di gruppo:

la canoa è uno sport di gruppo ma, anche insieme agli altri si è soli. […] Si vivono tutte le dinamiche relazionali ed emozionali che il gruppo richiede e stimola, ma nello stesso tempo, nessuno può salire in canoa con te. In una rapida sei solo e la capacità di accettare e gestire questa condizione richiede profondo autocontrollo e capacità di ascoltarsi.

CAPITOLO “PERCHÈ SEI COSÌ BELLA”

…ed ancora:

la canoa è già di per sè uno sport solitario; certo, si scende in gruppo, ma ognuno è da solo dentro il proprio kayak; nessuno può fare una rapida al tuo posto.

CAPITOLO “NEL FIUME DA SOLO”

Salvato fa riferimento al termine “canoa” ovviamente, nel suo specifico caso, riferendosi al kayak fluviale.